Signore sono pochi quelli che si salvano?
Una domanda impegnativa posta a Gesù, ma allo stesso tempo mal posta che fa intendere che gli uomini si possono salvare da soli o che la salvezza sia frutto di un sforzo-impegno delle persone.
Gesù non da una risposta immediata ma con le sue parole allarga l’orizzonte e ci indica la strada per la salvezza: sforzatevi di entrare per la porta stretta.
Il primo aspetto, che ci ricorda anche la prima lettura, è che il sogno di Dio è che tutti possano essere salvi, riunire tutte le genti che possano parlare il linguaggio dell’amore. Quindi la salvezza è un dono da riconoscere e accogliere gratuitamente.
La porta stretta è un invito ad andare in profondità, non fermarsi alla superficie all’esteriorità.
Passare per la porta stretta è passare per Gesù, cioè lui diventa il criterio su come vivere le relazioni, lui ci mostra il volto di Dio che si prende a cuore l’umanità.
L’invito è quello di sforzarci, cioè di lottare per entrare per la porta stretta. Non è così scontato. Lottare contro chi? Contro chi ci propone la strada della superficialità, della violenza, della non accoglienza, del potere che schiaccia o toglie la dignità alle persone. E’ lottare contro tutto ciò che va contro la dignità la sacralità della vita umana. Forse dovremo lottare anche contro noi stessi, il scegliere la strada più comoda che ci appaga solo perché abbiamo, l’indifferenza verso chi ha bisogno. Lottare contro la presunzione di non aver bisogno, di bastare a se stessi e pensare per se stessi, gli altri si arrangino.
E’ lottare contro il non voler fare fatica per la vita, l’avere tutto e subito, l’accontentarsi di tirare avanti e non affrontare delle fatiche, delle sofferenze attraverso l’aiuto la condivisone. Lottare contro il non voler accettare una situazione o non volerla vedere perché fa troppo male affrontarla.
Ognuno può declinare la propria porta stretta, passarla significa scegliere la via della vita, che porta vita anche se può essere una via faticosa.
Scegliere di entrare per la porta stretta ci è di stimolo per guardare al nostro modo di vivere o intendere la fede, non basta aver mangiato e bevuto insieme, non basta una preghiera, partecipare alla messa per dire sono apposto, sono un buon cristiano ma bisogna farsi pane spezzato per gli altri. Non un cristianesimo di facciata di slogan ma concreto nei gesti di vita verso chi ha bisogno, verso le realtà di povertà.
Ecco allora la salvezza quando accogliamo la gratuità dell’amore di Dio che passa attraverso le persone e la ridoniamo.
Gli ultimi saranno i primi, attenzione che quelli che noi riteniamo lontani, fuori dai canoni ma che si sforzano di vivere i vangelo della vita saranno coloro che invece per primi sperimenteranno la salvezza. Chi si ritiene apposto tranquillo perché fa tante pratiche religiose, ma la sua vita viaggia su un altro binario, per lui sarà pianto e stridore di denti.