S.AMBROGIO di GRION

Avvisi parrocchiali

Il vangelo di oggi ci proietta a guardare lo stile che viviamo nella comunità, nei rapporti tra di noi. Spesso possiamo chiederci chi è il più grande, il più importante, tante volte è chi ha soldi, potere. Altre volte puntiamo sull’immagine bella da dare a noi stessi, alla propria famiglia, figli, casa…

Oppure puntiamo su una perfezione da avere, che sia tutto apposto, che non si parli male…Gesù in pochi versetti getta un fascio di luce che ci aiuta a fare verità a chiamare per nome le cose ci offre il criterio per vivere la vera grandezza secondo il vangelo.

Parole che ci aiutano a smascherare dei reali percoli.

Il primo è quello dell’IPOCRISA, “Dicono e non fanno”. C’è il rischio reale per ciascuno di vivere la fede e la vita come due binari paralleli tra il dire, professare e il fare. Essere credenti ma non credibili.E’ ‘incoerenza tra fede e vita, tra ciò che diciamo a parole e poi viviamo nella vita. Un ipocrisia verso la quale Gesù si scaglia perché è fuorviante, perché mette al centro il proprio io, il voler essere apposto, apparire perfetti e così non aver bisogno degli altri e tanto meno di Dio del suo amore e salvezza che passa attraverso gli altri.

Un ipocrisia che si trasforma in VANITA’, questo bisogno di apparire, che si parli bene di sé, di trovare compiacenza agli occhi degli altri. Quanto siamo condizionati da questa vanità per sentirsi dire di essere bravi, apposto e così pensare di bastare a  se stessi. Si costruiscono grandi belle maschere ma dietro c’è il buio della paura di lasciarsi amare, accogliere così come si è.

Gesù non se la prende con la debolezza delle persone, ma con chi vuol far vedere di essere apposto, perfetto. Non ci chiede di essere immacolati, ma realisticamente in cammino per imparare ad amare.

Ipocrisia e vanità vanno a braccetto con il potere. E qui avviene la rivoluzione più grande “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo”. E’ la rivoluzione del servire, l’andare più in alto consiste nel non aver paura di scendere sempre più in basso per servire. Qui mi viene in mente l’immagine del grembiule. La grandezza per chi vive il vangelo sta nella disponibilità a servire, farsi servi per gli altri. Che cosa può significare servire in famiglia, a scuola, negli ambienti sportivi, nella comunità parrocchiale?

Provo a dare alcuni spunti: il primo riconoscere che c’è un solo Padre e noi siamo fratelli. La consapevolezza che nel nostro servire c’è una pari dignità di ogni persona di fronte a Dio, ciascuno porta in se doni capacità da riconoscere e valorizzare insieme a limiti da accogliere e correggere. Servire mettendo a disposizione ciò che ho senza ostentare cercare il riconoscimento e la compiacenza degli altri.

Servire nei piccoli gesti quotidiani, di una mamma e papà che lavorano per la famiglia, che si prendono cura della loro coppia, dei figli non assicurando solo il vestire e il mangiare ma anche vicinanza e confronto educativo.

Essere servi anche quando le cose non vanno come vorremo noi o secondo i nostri programmi, dentro la famiglia, la realtà parrocchiale. Servire è stare dentro la situazione, non subendola, non da rassegnato ma offrendo il mio contributo nel correggere, o lasciarmi correggere, non prendendo un’osservazione come un affronto personale al proprio impegno (mi giudichi, allora non mi vuoi bene, non faccio più niente), ma come un atto di amore verso di me.

Servire significa anche assumere un compito, un incarico e ciò che ne comporta, anche se può essere scomodo o impopolare. Non può sempre toccare agli altri a volte tocca a me fare il passo.

La grandezza consiste allora nel servire sullo stile di Gesù aprendoci alla follia della croce. Possiamo stare tranquilli perché è un cammino sempre aperto.