S.AMBROGIO di GRION

Avvisi parrocchiali

I FONDAMENTI TEOLOGICI, BIBLICI ED ECCLESIALI DELLA CARITAS

1. IMPORTANZA DI AVERE DEI FONDAMENTI

Consegna ad ogni partecipante di un pezzo di lego, dopo la preghiera iniziale si invita ognuno a voler costruire qualcosa…

Note: è stato semplice? Tutti volevano fare la stessa cosa? Se non si  ha un progetto comune, un fondamento non si costruisce un qualcosa insieme.

Importanza di avere delle buone fondamenta altrimenti si può rompere la costruzione, si può disgregare un gruppo, si può non fare un buon servizio, si possono disperdere energie e risorse…

A partire dalla volta scorsa

Art 1 del statuto

La Caritas Italiana è l’organismo pastorale costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana al fine di promuovere, anche in collaborazione con altri organismi, la testimonianza della carità della comunità ecclesiale italiana, in forme consone ai tempi e ai bisogni, in vista dello sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace, con particolare attenzione agli ultimi e con prevalente funzione pedagogica.

2. FONDAMENTI

E’ organismo… organismo pastorale, composto da tante parti…

OGGI GUARDIAMO LE FONDAMENTA, affinché questo organismo possa vivere, e svolgere la sua funzione. FONDAMENTA di una casa: non si vedono, sono importante, se ci sono si vedono i frutti…

Un organismo fondato sul COMANDAMENTO DELL’AMORE

Evangelii Gaudium

87… Uscire da se stessi per unirsi agli altri fa bene. Chiudersi in sé stessi significa assaggiare l’amaro veleno dell’immanenza, e l’umanità avrà la peggio in ogni scelta egoistica che facciamo.

  1. L’ideale cristiano inviterà sempre a superare il sospetto, la sfiducia permanente, la paura di essere invasi, gli atteggiamenti difensivi che il mondo attuale ci impone. Molti tentano di fuggire dagli altri verso un comodo privato, o verso il circolo ristretto dei più intimi, e rinunciano al realismo della dimensione sociale del Vangelo. Perché, così come alcuni vorrebbero un Cristo puramente spirituale, senza carne e senza croce, si pretendono anche relazioni interpersonali solo mediate da apparecchi sofisticati, da schermi e sistemi che si possano accendere e spegnere a comando. Nel frattempo, il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo. L’autentica fede nel Figlio di Dio fatto carne è inseparabile dal dono di sé, dall’appartenenza alla comunità, dal servizio, dalla riconciliazione con la carne degli altri. Il Figlio di Dio, nella sua incarnazione, ci ha invitato alla rivoluzione della tenerezza.

Il comandamento dell’amore, amare Dio e il prossimo ha inizio in quel COSTANTE CORPO A CORPO che Dio ha vissuto per primo nella carne di Gesù.

E’ il principio dell’INCARNAZIONE, Dio si è fatto uomo per condividere la condizione umana, eccetto il peccato per portare salvezza, non farci sentire da soli.

Dio in Gesù corre il rischio di incontrare il volto di ogni uomo.

FONDAMENTO: in Gesù ogni uomo è STORIA SACRA.

E’ riscoprire la DIGNITÀ’ DI OGNI PERSONA,  di qualsiasi cultura, razza, lingua e religione, in forza dell’incarnazione.

Questo corpo a corpo che Gesù ha vissuto nella sua esistenza, viene espresso nella immagine del buon samaritano. Luca 10,25-37

Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno». Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

AVERE COMPASSIONE: è la capacità viscerale di provare dolore per il dolore dell’altro. Un cuore che vibra, e non è indifferente. Nel provare compassione scaturiscono poi tutti quei atteggiamenti che generano la misericordia.

La misericordia indica proprio il curvarsi il prendersi cura per guarire le ferite dell’altro. E’ un’azione divina che passa attraverso gesti umani e che restituisce vita a chi non ce l’ha.

Vediamo questi gesti:

VEDERE: è un vedere diverso da quello del sacerdote e del levita, il loro è un vedere che lascia scorrere via, non tocca, anzi genera INDIFFERENZA. Quello del Samaritano è un vedere con il cuore e con una domanda dentro, che cosa gli succede se non mi fermo? Un vedere che mette al centro l’altro e non le proprie preoccupazioni.

FERMARSI, si fece vicino. Il samaritano interrompe i propri programmi. Siamo di corsa e forse incapaci di fermarci di fronte alle necessità dell’altro, prime ci sono le mie cose da fare, o idee da portare avanti. Fermarsi significa anche perdere tempo, rimetterci… ma è per il bene dell’altro.

TOCCARE: fascia le ferite, versa olio e vino, lo carica… E’ il toccare che significa sporcarsi le mani, metterci del proprio in capacità, mezzi, strumenti. Il toccare coinvolge il corpo, comporta un mettersi in gioco con tutto di noi. Non è spontaneo toccare, si fa più veloce fare con la bocca, o far fare agli altri, ma quando è ora di agire di metterci del proprio, di rimetterci, è più facile tirarsi indietro, può prendere il sopravvento la paura di contagiarsi. Amare non è un fatto emotivo ma è una questione di mani che si mettono all’opera per la vita dell’altro.Noi siamo abituati a pensare a questi gesti come una traccia che ci indica la strada per imparare a farci prossimi agli altri, è giusto, ma non è il primo passo è il secondo.

Il primo passo è riconoscere che per primi noi siamo stati fatti oggetto di questi gesti da parte di Gesù nel suo corpo a corpo. Riconoscere che noi siamo quel povero incappato nei briganti e che abbiamo goduto delle cure dell’amore attraverso il corpo di Cristo che è la comunità cristiana.

FONDAMENTO: noi per primi aver sperimentato la cura e l’amore di Dio nella nostra umanità ferita, amata, accolta, valorizzata. E questo la rende storia sacra. Aver fatto esperienza di aver incontrato il volto misericordioso di Dio.

Il secondo passo è quello di vivere quanto ricevuto verso gli altri. Vivere i verbi della compassione: vedere, fermarsi, toccare.  La domanda che mi muove per un servizio è DOVE SEI? Mettersi in ascolto del povero, diverse necessità della gente del nostro territorio. Poi sono solidale con te, mi metto a tuo servizio.Tutto ciò per aiutarti a darti una risposta.

ABBI CURA DI LUI… è lo stile della cura, del prendersi cura ma a partire dalla dignità della persona nei sui diversi bisogni.  La richiesta da parte di chi ha bisogno dovrebbe essere: AIUTAMI A FARE DA SOLO, non in quello che mi fa comodo, o a dipendere…

LA COMUNITÀ CRISTIANA: questa cura di Dio la sperimentiamo dentro la comunità cristiana, in quella fonte e culmine della carità che è la celebrazione dell’eucaristia.

Guardiamo a come Gesù ha usato nei suoi ultimi momenti la sua libertà di fronte all’esperienza del tradimento, che è la più alta offesa all’alleanza (esperienza di legame), che è esperienza di fragilità. Guardiamo come lui trasforma una fragilità. Gesù riconosce, accoglie il suo sentimento di tristezza, delusione, accoglie anche la sua morte ma da a tutto ciò un senso diverso. La sofferenza, morte (esperienza di fragilità) è esperienza di rottura di relazione, con Dio, altri, noi stessi. Gesù volendo vivere l’ultima cena ha preso questo evento di rottura è lo ha trasformato in evento di alleanza, legame. Gesù in obbedienza al Padre ha accolto questo evento di fragilità e lo ha trasformato da situazione di chiusura, morte a occasione di rinnovato dono. E’ l’estrema generosità di cuore di Gesù che genera questo capovolgimento. Quando riceviamo l’eucarestia riceviamo questa generosità che ci rende capaci di sovrabbondare nell’amore, di operare anche noi dei capovolgimenti, delle trasformazioni. Nell’eucaristia ci sono due dimensioni del dono, una orizzontale, Gesù si dona ai suoi (prendete e mangiate), una comunione fraterna; e una dimensione verticale. La si coglie dal ringraziamento che fa Gesù (prese il pane e rese grazie). Gesù ringrazia mette quella situazione negative, di fragilità in relazione con il Padre, ringrazia perché nel dono che lui fa della sua vita è il Padre stesso che si dona agli uomini. Nel dono di sé è Dio stesso che si dona a noi. Gesù ringrazia per la forza dell’amore che viene dal Padre e che gli fa vincere la morte. Gesù ringrazia perché si è aperto con fede all’amore del Padre, proprio questo aprirsi, fidarsi che l’amore del Padre passa attraverso il dono della sua vita dentro la situazione di fragilità, opera la trasformazione della morte.

Comunità che si ritrova, fa memoria, si alimenta, dell’amore di Dio datoci attraverso Gesù.Questa ci fa corpo di Cristo, e ci invita a correre il rischio con il volto dell’altro, specie il bisognoso per portare questo amore. Una comunità cristiana che non vive la carità non è comunità, se non vive quel corpo a corpo che genera incontro e vita non è comunità cristiana. Una cura da vivere anche dentro il gruppo caritas, stile della cura delle relazioni…

LE TRE COLONNE: PAROLA, EUCARISTIA, POVERI.

Nella Parola riconosciamo un volto e quando la ‘apriamo’ il nostro cuore si entusiasma. La Parola che si apre, apre il tabernacolo perché immediatamente sentiamo che quel Cristo che ci ha parlato diventa cibo per noi, ma subito dopo e solo dopo che abbiamo incontrato la Parola e l’Eucaristia siamo capaci di aprire il nostro cuore ai poveri. Non si può aprire la casa ai poveri, la comunità ai poveri senza prima avere aperto il cuore alla Parola e il volto al Cristo eucaristico; solo allora si riesce ad aprire la vita ai poveri in quella triangolazione che è la triangolazione del cristianesimo: Parola, Eucaristia, Poveri. Questi sono i tre luoghi in cui Dio c’è, in cui Dio parla, in cui Dio è sempre immensamente presente. Non esiste una realtà senza l’altra:

Parola senza Eucaristia, rischiamo di assumere uno stile protestante;

  • Eucaristia senza Parola è magia perché diventa fatalismo;
  • Poveri senza Parola e senza Eucaristia è impossibile riconoscerli perché prima o dopo i poveri stancano.

Solo se si ha chiaramente dentro il cuore, dentro l’impostazione della Parrocchia e della Diocesi, questa triangolazione allora è molto bello poter sentire che quella Parola si fa cibo e che quel cibo si fa volto, si fa nome, si fa testimonianza presente, ‘si fa’ chi bussa alla tua casa e al tuo cuore.

“La Caritas è un segno in un grande sogno. Non vi manchi mai il sogno, cioè il guardare più avanti; però nello stesso tempo non fermatevi solo ai sogni, sappiate rendere il sogno sempre segno. Mai il sogno senza segno, né segno senza sogno. Solo così potrete riuscire a dare alla carità quella concretezza del presente che è un piccolo segno, ma è anche un grande segno perché è come un seme e il seme ha la forza del domani. Questo è lo stile della Caritas: il segno dei cinque pani e due pesci è fragile, ma nelle mani del Cristo, della carità, saziano cinquemila persone. Quindi non bisogna mai guardare il presente in modo frammentato, ma essere sempre capaci di un grande sogno. Se tu  conservi lo stupore sei capace di scrutare i segni dei tempi che ti vengono dalla vita, i bisogni nuovi, le situazioni che cambiano”.  (Mons. Bragantini)